Vivienne Westwood la rivoluzionaria
a cura di Michele Esposito
Se la moda può essere eco solidale, c’è un nome su tutti che con prepotenza ce lo dimostra da cinquant’anni: Vivienne Westwood.
Prima di essere una stilista, prima di essere un’artista, prima di diventare una delle imprenditrici più famose della storia, prima di avviare uno dei brand inglesi più longevi, Vivienne nasce ribelle, attivista e anarchica. La sua idea imprenditoriale si è dovuta adattare alla sua visione politica e sociale e mai viceversa. Il suo stile non è nato per la necessità di creare abiti, non nasce dalla volontà di esprimere il proprio talento, non inizia come processo artistico. Il suo stile è una denuncia sociale. Crea il suo brand con questa idea precisa e da quel momento in poi non cambierà mai di una virgola il suo modo di fare moda.
Inizia nel 1971 aprendo il primo negozio anticonformista di Londra, cavalca a pieno la rivoluzione giovanile e la rivoluzione sessuale spingendo sempre l’asticella un po’ più in là. Mentre le donne scoprono le gambe con le minigonne di Mary Quant, Vivienne Westwood da vita a quella ribellione stilistica che porta con se la filosofia del rompere le barriere dell’estetica accomodante: inventa il punk.
Camicie stracciate o bruciate, spille a tenere insieme lembi di stoffa, maglie stampate con immagini scandalose o scritte esplicite a riferimenti sessuali o politici. Non è semplicemente una cifra stilista quella che vuole raccontare con i suoi abiti, sono messaggi politici e sociali chiari. E’ una rivoluzione culturale che ha uno scopo preciso: abbattere il perbenismo che limita la libertà.
“Non mi sono mai considerata una stilista. Uso la moda per dare voce alla mia ribellione. La moda è un mezzo, il fine è la rivoluzione.”
E rivoluzione fu. Iconica la t-shirt con la faccia della Regina Elisabetta con le labbra chiuse da delle spille da balia. Denuncia a simbolo del silenzio della Regina davanti alle proteste dei lavoratori nelle miniere.
Le cause politiche e sociali sposate da Vivienne Westwood sono infinite: i diritti delle donne, dei lavoratori, degli extra comunitari, della comunità LGBTQ+, degli animali.
Contro ogni guerra, contro ogni soppruso, contro ogni politica che limita le libertà.
Vegetariana da sempre, ambientalista e animalista convinta. Usa le passerelle come denuncie sociali. Sposa la causa di Greenpeace arrivando a salire sulle loro navi per combattere l’ingiustificato massacro delle balene. Invece dei modelli usa attori pornografici gay che posano nudi o mentre fanno sesso per combattere lo stigma dell’AIDS che la comunità omosessuale si porta sulle spalle come una croce- Ogni pezzo della sua collezione viene fatto con produzioni che hanno un impatto minimo sull’inquinamento.
Riceve un riconoscimento dalla Regina e si presenta con un lungo vestito senza mutande, facendo una giravolta e mostrando a tutti la sua nudità, come messaggio contro lo sfruttamento degli animali nella produzione della moda. Si presenta a colloquio dal Primo Ministro inglese su un carrarmato, mettendo nei cannoni dei fiori come monito per tutte le guerre che finanzia il suo Paese.
“Non riempite i vostri armadi. La moda deve essere coscienza. Ogni capo che avete nel vostro guardaroba può essere frutto di un processo che impatta sull’ambiente. Può essere frutto dello sfruttamento della dignità dei lavoratori. Comprate l’essenziale. Comprate pochi pezzi di qualità che durino negli anni. State attenti alle etichette, dove e come vengono prodotti gli abiti che indossate. Se in quel processo di lavorazione qualcuno ha pagato gravi conseguenze per farvi indossare un vestito scadente, allora non vale la pena indossarlo. La moda è rivoluzione, la rivoluzione deve liberare gli altri non riempire i vostri armadi.”
Vivienne Westwood non è un brand. Vivienne Westwood è una filosofia di vita.