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ANNA PAOLA MERONE

Incontriamo Anna Paola Merone, responsabile redazione moda e costume del “Corriere del Mezzogiorno”, nel suggestivo palazzo San Teodoro a Napoli, una cornice perfetta per una donna dall’eleganza sopraffina. Occhi magnetici, sorriso disarmante, ha un fascino che destabilizza tutti. Mentre chiacchieriamo, il fotografo smette di scattare foto perché rapito dai suoi discorsi. Trapela fascino anche quando si rivolge all’ inseparabile Bart, il suo adorato cane bassotto che la segue ovunque, la sua ombra. Ecco, la guardo e penso quanto siano fortunati i suoi studenti a poter imparare da lei, noi l’avremmo ascoltata per ore… Anna Paola ha studiato in uno dei Licei classici più prestigiosi di Napoli l’”Umberto” e si è laureata alla facoltà di Lettere Moderne alla Federico II. Le è sempre piaciuto studiare, tanto da essere soprannominata “secchiona” dai suoi compagni di studio. Ha iniziato a lavorare, a poco più di vent’anni, come giornalista di cronaca al “Giornale di Napoli”. Ha cominciato ad occuparsi di moda quasi per caso quando già lavorava al “Corriere della sera”. L’argomento le interessava e lo seguiva da sempre, la sfida era affrontarlo con autorevolezza. E da “secchiona” si è messa a studiare con grande impegno non lasciando mai la cronaca di cui si occupa parallelamente al resto. Ha un figlio, Nicola, che ha quasi diciotto anni e frequenta l’ultimo anno di liceo classico all’Umberto. Ha un compagno, di cui non sveliamo il nome, che è un uomo di grande eleganza (non poteva essere altrimenti n.d.r.). Mi ha confidato di girare in scooter e di farlo anche in abito da sera su tacchi vertiginosi, di detestare chi ritiene inutili le cose futili, perché le considera il sale della vita e di disapprovare i moralisti in genere perché hanno sempre qualcosa da nascondere, fosse solo l’incapacità di vivere e di viversi. Ecco cari lettori, tutto questo è lei…la Signora della Moda.

 

Lei è la Responsabile Redazione Moda e Costume del Corriere del Mezzogiorno, inserto campano del Corriere della Sera, ho letto spesso articoli nei quali ha contestato la scelta degli outfit di personalità campane molto note….

Non ho contestato, ma semplicemente rilevato la scelta di outfit inappropriati. I codici di abbigliamento sono importanti, sono un ‘obbligo’ soprattutto per chi ha un ruolo istituzionale. A chi trova superfluo intervenire alla prima di una stagione lirica con lo smoking, replico che dovrebbe considerare inutile anche indossare maglietta e scarpette per una partita a pallone o un vestitino ganzo per andare a ballare. Trattare con sprezzo le regole, peraltro chiarissime quando si parla di dress code, denota superficialità e arroganza. Oltre che ignoranza, intesa in senso trasversale, e mancanza di rispetto.

Ma non si può mai essere sopra le righe?

Solo se si conoscono tutte le regole e si decide di ignorarle con consapevolezza. E allora si è ancora più eleganti e appropriati. Ma questo è un gioco per pochissimi. Occorrono competenza, uno stile innato, un armadio con pezzi indimenticabili e anche un ruolo giusto. Se si è un cantante rock o un architetto di grido una giacca da smoking fuori ordinanza con il papillon slacciato può funzionare. Altrimenti il massimo che si può osare – soprattutto se si ha un ruolo istituzionale – è uno smoking blu notte invece che nero o, con un fisico giusto, un doppiopetto magistralmente tagliato. Un discorso analogo va fatto per le donne, che però dovrebbero liberarsi dalla tirannia del nero e capire una volta per tutte che dei tacchi non si può fare a meno. Le donne si vestono per far colpo sulle donne, questo è il motivo dei molti errori che compiono. Basterebbe guardarsi allo specchio pensando all’effetto del proprio look su un uomo per andare sul sicuro.

Mi dice, per lei, cosa è “in” e cosa è “out” indossare?

Non c’è una cosa in e una cosa out in assoluto. Di certo ci sono cose che non alcun hanno diritto di cittadinanza in alcun armadio, come i calzini corti e le camicie a mezze maniche per gli uomini. Poi ci sono i no relativi. Molte donne pensano di poter essere contemporanee Audrey Hepburn, pur non avendo il fisico, e incomprensibilmente calzano ballerine che le fanno apparire matrone penitenti e sciatte. Altre dimenticano che la borsa piccola di giorno fa passeggiatrice, proprio come quella grande di sera, che in versione oversize non andrebbe mai considerata. Un uomo con un abito blu e una camicia bianca difficilmente sbaglia. Una donna con un vestito ben tagliato, dalla linea appena morbida, sarà sempre chic. Indispensabile, per chiunque, un paio di jeans che funzioni bene.

Ha scritto un libro, “Napoli, mon amour” in cui descrive le bellezze della nostra città: “In nessun altro posto al mondo è possibile trovare le sue bellezze, i suoi castelli, la sua gente, il suo mare”. Ci dica un però…

Uno solo? Questa é una città difficilissima. Una città fatta di tanti paesi – io vivo nel paese Chiaia che non é certo la stessa cosa del paese Vomero – ben lontana dall’idea stessa di metropoli. Ma è fascinosissima, bella, irresistibile. Basta prenderla per quello che è, ma senza rassegnarsi a subirne i problemi. Napoli va interpretata con creatività, del resto è ricca di contaminazioni e l’alto e il basso si sfiorano più che altrove, ma in certi momenti è davvero impossibile. Il problema spesso sono i napoletani, cui manca una idea di relatività: tutti si sentono re e lazzaroni, questo toglie la possibilità a chi è in basso di crescere e a chi porta una corona di avere consapevolezza dei propri privilegi.

Ha sempre avuto in mente di fare la giornalista di moda?

Io vengo dalla cronaca e alla cronaca sono legata sempre. La moda é stato un caso, mi ci sono trovata dentro lavorando per il Corriere che ha grande attenzione per i fatti di costume e che ha puntato su di me per raccontare queste storie. Mi ci sono dedicata con un approccio da secchiona, studiando. Dalla trama e dall’ordito alle passerelle ci sono tante cose da sapere e tanti passaggi da imparare. E si è autorevoli solo se si raccontano cose che si conoscono davvero, oltre i luccichii. La sua prima esperienza importante in una redazione. Il Giornale di Napoli: avevo 22 anni non ancora compiuti. Poi tre anni in una televisione privata a fare un po’ di tutto e poi avanti e avanti… per dieci anni non ho respirato quasi. Mi sono immersa completamente nel lavoro, rinunciando a tutto. Niente vacanze, amici visti da lontano, niente orari, niente weekend…

Lei è una persona che dispensa suggerimenti, consigli e contesta pubblicamente ciò che non le piace. Ma le è mai capitato di litigare con uno stilista perché magari non gli è piaciuto un suo commento?

No mai. Io non commento, non contesto, io rilevo e lo faccio partendo dai fatti. La formazione da cronista in questo è stata utile. Non ho mai litigato con alcuno stilista e rispondo a chiunque mi chiede spiegazioni e manifesta perplessità su quello che ho scritto. Ho un rispetto assoluto per i lettori che, come diceva Indro Montanelli, sono gli unici padroni dei giornalisti.

A tal proposito qual è il suo stilista preferito?

Impossibile scegliere. È come chiedere ad un giornalista sportivo per quale squadra tifa. Però è giusto fare due nomi: quello di Alessio Visone, che ha scelto di restare a Napoli con la sua moda raffinata e matura che ha conquistato anche molte dive; e quello di Francesco Scognamiglio, che da Napoli è partito travolgendo le protagoniste dello showbusiness internazionale dopo essere stato ‘scoperto’ da Madonna.

Per lei la moda è …

È la democrazia della bellezza, è una carezza, mille storie da raccontare, un motore fondamentale dell’economia, un modo per inquadrare subito chi si ha davanti, una cornice per dare valore alla personalità di ciascuno, una chiave straordinaria per leggere il proprio tempo e per valutare la storia attraverso una lente che rende impossibile ogni bugia.

È una donna molto impegnata, come fa a conciliare la sua vita lavorativa e quella familiare?

Con una grande organizzazione. E poi ho imparato a delegare e ho cercato di alimentare in mio figlio un approccio indipendente alle cose. Per mettere insieme tutto credo sia poi indispensabile il senso delle priorità. Comunque dormo pochissimo, e questo aiuta.

Cosa pensa del rapporto tra il mondo della moda e la città? Si discute da anni del fatto che Napoli non sappia valorizzare anche con iniziative culturali, uno dei settori fondamentali dell’economia del Paese.

Ed é vero. Napoli é autoreferenziale, guarda a se stessa, non si apre. E pensa di bastarsi. Questa città ha straordinarie storie di moda da raccontare, ma deve imparare ad affrontare i propri limiti e le proprie potenzialità con spirito libero e internazionale. Gli stilisti hanno fatto da soli, avendo qualche piccola sponda in Confindustria e in Sistema moda. Ma Comune e Regione non hanno ancora capito come gestire questo fronte, sono assenti e le poche iniziative sono poco centrate e non affidate a professionisti del settore.

Pink Life è una rivista di moda, la domanda è d’obbligo: è una fashion victim?

No, il segreto é ribaltare le posizioni. La moda é la mia vittima. Non la subisco, la domino e la vivo in un gioco di rimandi che non devono mai trovarmi in una posizione di svantaggio. Mi viene una botta di malinconia quando vedo donne che pur di essere alla moda indossano capi che non donano loro per nulla. Nella moda comando io, ho gusti certi e assoluti che prescindono dalle stagioni. Gli abiti sono investimenti. Se scelti bene non solo tornano buoni in occasioni diverse, ma il capitale impegnato torna indietro rivalutato in termini di stile, bellezza e allegria.

Un consiglio di stile?

Se vi sentite troppo comodi sicuramente non siete abbastanza eleganti.

 

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