Mavi: cantare in napoletano. Un atto d’amore e di responsabilità.

Mavi è una delle voci più potenti della musica contemporanea napoletana. Un’artista e una donna straordinaria capace di mettere in circolo buone e sane energie. Dopo una carriera costruita con le cover e con collaborazioni importanti – l’ultima, in ordine di tempo, con Geolier in “Emirates”, che l’ha portata sul palco dello Stadio Maradona –, sceglie di raccontarsi in brani inediti e inizia un nuovo percorso che porterà all’arrivo sul mercato discografico dell’album “Napoletana” (Ada/Warner), curato nella direzione artistica da Daniele Palladino. Ad aprire questo percorso è stato il brano “Aropp e te”; poi è arrivato “Nun me fire ’e sta”, scritto per lei da LDA, autore di testo e musica, con la produzione musicale e gli arrangiamenti di Adriano Pennino e il mix e master di Roberto Rosu. I video dei singoli sono stati firmati nella direzione di produzione da Vincenzo Fasciato e nella sceneggiatura e regia da Alex Marano.

Hai conquistato il pubblico con le cover. Ora hai iniziato un percorso di inediti. Perché hai sentito questa esigenza?
Le cover sono state una zona di comfort che mi ha permesso di creare un pubblico che mi ascoltasse. Poi è arrivato il momento di raccontare qualcosa che fosse mio e, anche se non scrivo io, gli autori che mi stanno accompagnando in questo percorso sono bravissimi a interpretare Mavi e il suo modo di raccontare i sentimenti.
“Aropp e te” e “Nun me fire ’e sta” sono i due brani con cui hai iniziato questo cammino verso “Napoletana”, album che uscirà entro la fine del 2025. Cos’hanno in comune?
La scrittura napoletana, che io corteggio e considero un grande patrimonio. Noi artisti che cantiamo in lingua napoletana abbiamo il grande onore e anche l’onere di continuare a diffondere una cultura musicale già famosa in tutto il mondo. E dobbiamo farlo con accuratezza e ricerca nelle melodie e nelle parole di chi ci ha preceduti. È un atto di amore e responsabilità verso la nostra terra. Diffondere una cultura è una missione che racconta e tramanda il passato e ispira il futuro. E questa è la scelta che ho fatto io sin dall’inizio.


Com’è nata la collaborazione con LDA e com’è stato interpretare un brano scritto da un artista così giovane?
L’incontro con LDA è stato reso possibile da una persona molto importante per me, Raffaele Veneruso, al quale mi lega un rapporto di amicizia e oggi è anche il mio manager. Con Luca abbiamo trascorso una giornata insieme. Ero con lui quando ha scritto il brano “Nun me fire ’e sta” ed è stato molto bravo a riportare i miei sentimenti nelle parole e nella musica. LDA è un artista giovane ma già famosissimo e molto potente dal punto di vista comunicativo.
Quanto conta il team per un artista?
Il team per un artista è fondamentale. È un gruppo di persone che fanno il bene dell’artista, al punto che per loro il progetto in cui sono coinvolti va ben oltre il lavoro. Sono professionisti che proteggono l’artista e spingono sull’acceleratore per permettere all’artista di ottenere il massimo del successo, della notorietà e della visibilità possibili. Negli anni mi sono circondata di persone che fanno esattamente questo per me e nel tempo ne ho incontrate di nuove. Questa domanda mi dà la possibilità di ringraziare Daniele Palladino, Raffaele Veneruso, Michele Maturo, Luigi Esposito, Francesca Scognamiglio Petino e i Tendent’s. E, poi, proprio sul progetto “Napoletana” il mio ringraziamento dal profondo del cuore va ad Adriano Pennino, che, oltre a curare gli arrangiamenti di “Nun me fire ’e sta”, curerà gli arrangiamenti di altri brani e mi sta seguendo in questo progetto proprio come un padre artistico. Lui è un personaggio immenso della musica italiana e averlo al mio fianco è una grandissima gioia e un grandissimo onore.

Quando hai scoperto di amare la musica?
Ho sempre amato la musica. È un amore che mi arriva dalla mia mamma, che ha sempre cantato e io la seguivo negli eventi in cui si esibiva. Stavo con lei dietro le quinte, facevo i playback mentre lei cantava. E poi, nel tempo, l’amore è cresciuto ed è diventato il mio lavoro.
Quando hai capito che sarebbe stato il tuo lavoro?
Ho capito che la musica sarebbe diventata il mio lavoro quando sono stata scelta, insieme ad altre 12 persone, tra 4.000 partecipanti ai casting di “C’era una volta Scugnizzi”. In quel momento ho lasciato l’università per dedicarmi alla carriera artistica.

Un momento artistico che non dimenticherai mai…
Ho tre momenti artistici indimenticabili. Il primo al Teatro Sistina di Roma, quando Gigi Proietti, dopo lo spettacolo “C’era una volta Scugnizzi” è venuto in camerino a farmi i complimenti; il secondo quando ho cantato con Nino D’Angelo all’Arena Flegrea un brano suo che avrei sempre desiderato cantare; e il terzo è stato cantare davanti a 60.000 spettatori allo Stadio Maradona insieme a Geolier.