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Tumore della prostata: le nuove terapie allungano fino a 5 anni la sopravvivenza

Importanti novità arrivano nel campo del tumore della prostata dal 34esimo convegno della European Association of Urology a Barcellona.
Questa patologia ogni anno conta in Italia 35000 nuovi casi e 7000 decessi, ma attraverso le innovative terapie ormonali ‘chemio-free’, le prospettive dei pazienti con tumore metastatico o ad alto rischio di metastasi sono radicalmente cambiate: anche questi ultimi infatti hanno un’alternativa alla chemioterapia guadagnando, in base ai dati emersi, anni di vita di qualità.
Si passa infatti da 36 mesi di sopravvivenza a una speranza di vita di poco meno di 5 anni.
Lo hanno sottolineato gli esperti i quali affermano che grazie alla terapia ormonale con abiraterone i pazienti metastatici già alla diagnosi hanno guadagnato circa due anni di vita in più, mentre un altro farmaco come apalutamide ha dimostrato che nei malati senza metastasi -ma ad alto rischio- può ritardarne di circa due anni la comparsa.
Grazie alla maggior efficacia del nuovo armamentario terapeutico, inoltre, oggi le cure sono sempre più personalizzate in ogni stadio della malattia: “Per i pazienti con carcinoma prostatico lo scenario è oggi del tutto diverso rispetto a pochissimo tempo fa ed è tuttora in rapidissima evoluzione come in pochi altri settori dell’oncologia – afferma Walter Artibani, Segretario Generale della Società Italiana di Urologia.
Ora è possibile pensare di personalizzare le scelte terapeutiche in modo estremamente preciso, consentendo una prognosi migliore anche ai pazienti più complessi, per i quali tutto questo si traduce in un aumento della durata e della qualità di vita. La possibilità di avere terapie differenti a seconda della fase della malattia -continua – permette al curante di modulare il trattamento e al paziente di godere dei benefici di più opzioni terapeutiche. L’introduzione di apalutamide va sicuramente in questa direzione, lasciando aperta la via all’utilizzo di più opzioni terapeutiche nelle fasi successive della malattia. Così, grazie alla ricerca, la cronicizzazione della neoplasia prostatica in progressione sta diventando un obiettivo sempre più vicino”.
Simonetta De Chiara Ruffo