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Fashion

FRANCO MOSCHINO – L’enfant terrible della moda italiana

Il brand Moschino, da tempo sulla cresta dell’onda per il suo approccio anticonvenzionale e irriverente, dal 2013 è capitanato dall’eccentrico e super PoP direttore creativo Jeremy Scott, che nell’ultimo anno ha fatto impennare le vendite del brand del 20% o più. Alcuni lo considerano come il perfetto erede di Franco Moschino, personaggio atipico e anticonformista della moda italiana anni Ottanta, che ha gettato le basi del Made in Italy nel mondo. Nato ad Abbiategrasso (MI) ha frequentato l’Accademia di Brera con l’intento di diventare pittore e per finanziarsi gli studi, iniziò a lavorare come illustratore di moda freelance. Decisivo fu l’incontro del 1971 con Gianni Versace, che fiutandone le straordinarie doti, lo prese con sé come disegnatore per circa sei anni. Collaborerà anche con Giorgio Armani, per undici anni a partire dallo stesso anno, contribuendo alla realizzazione delle collezioni per Genny e Begedor. Nel 1977 la sua carriera da stilista decolla e fino al 1982 ricopre il ruolo di fashion designer per la ditta d’abbigliamento Cadette. Un anno dopo Franco Moschino fondò la compagnia Moonshadow, lanciando sul mercato il marchio Moschino Couture! Nel 1987 lancia la linea Cheap&Chic, riuscendo ad imprimere il suo pensiero e la sua filosofia ed insieme a creare un piccolo impero di eleganza sagace, autarchica e alternativa, con un fatturato annuo che oscillava attorno ai 200 miliardi. A rendere irresistibile il brand era il suo potere dissacratorio e parodistico: ogni collezione scherniva il culto dell’immagine e la società dei consumi che permeava gli anni Ottanta, facendo di Franco Moschino uno dei geni autentici della storia della moda di quegli anni. Si mostrava impudico e sarcastico, un ribelle creativo con un potere immaginifico immane. Si faceva immortalare con parrucca bionda e riccioluta o come un sexy cowboy accessoriato per lanciare la sua linea di alta moda pronta, Couture! (a cui mai faceva mancare il punto esclamativo). Le sue creazioni erano pensate per un certo target di donne che amavano il tailleur nero di Chanel, ma ne preferivano la rivisitazione “Moschiniana”, che inseriva al posto dei bottoni forchette e cucchiai, in perfetta estetica surrealista e celebrando una delle sue fonti d’ispirazione Elsa Schiaparelli. Oppure quella tipologia di donne intellettuali, che amavano la crinolina e gli intarsi sugli abiti, ma li ritenevano troppo estrosi ed audaci, allora si rivolgevano a lui, che li rendeva spiritosi inserendo stampe di mucca in tessuti preziosi e patchwork fantasiosi. La sua graffiante avversione per l’ortodossia del fashion system, gli è valso l’epiteto di Enfant Terrible della moda italiana: «Copio e dissacro gli stilisti altrui, racconto quello che succede tentando di capire le motivazioni della gente». Nascono così delle opere d’arte in tessuto e dal contenuto sprezzante e satirico come il tubino nero con prezzo ricamato sul capo o il tailleur rosa tappezzato come la Gazzetta dello Sport, a completare l’outfit un pallone da calcio in testa. Autoironico e innovativo converte il suo logo da Moschino a Moschifo: come un Bacco moderno si fa immortalare tra pizza, mandolini e fiaschi di vino. Prima che artista a tutto tondo, Franco Moschino incarnava perfettamente i giusti precetti di un Comunicatore irriverente e spregiudicato, che aveva conquistato il fashion system dissacrandolo, con il potere dell’ironia. I primi anni Novanta sono il palcoscenico perfetto per mettere in atto la provocazione griffata Moschino, che si concretizza in una dura campagna di sensibilizzazione della moda, propugnando l’ecologismo e portando in passerella pellicce 100% eco ed inserendo in ogni collezione abiti fatti con tessuti naturali, lavorati in modo non nocivo per l’ambiente. Il suo brand non era più legato alla moda, ma alla lotta contro la droga, contro il razzismo e l’AIDS. Il suo testamento d’artista è una retrospettiva datata 1993 dal titolo “X Anni di Kaos!” ospitata alla Permanente di Milano. Commovente e toccante è il finale della sfilata, tra angeli bianchi in coro e nuvole candide a far da cornice; ancora una volta una caricatura di un possibile paradiso, come lo immaginano i bambini. “Io non voglio dipingere altri vestiti, non so per chi sono e non voglio conoscere altri angeli perché non scherzerebbero più con me. Lasciatemi qui sulla nuvola bianca”. Morì il 18 settembre 1994 a causa di un infarto per un cancro intestinale, altri sostengono per patologia legata all’AIDS, il marchio Moschino passa all’ex assistente di Franco Rossella Jardini. Nell’autunno del 1999, il marchio è stato rilevato dal gruppo AEFFE Alberta Ferretti. Lo piange anche lo stilista e amico Romeo Gigli: “Era un personaggio molto schivo e gentile. Mi piaceva il suo approccio alla moda, colto e ironico. Il suo stile ha segnato l’evoluzione del costume da qui all’avvenire”

di Francesco Maffei

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