Patti Smith Diva / Antidiva del Rock

Con la sua voce ribelle e intrisa di rabbia febbricitante, i capelli spettinati nero corvino e un’aura elettrica da sciamano selvaggio, Patti Smith ha incarnato una delle figure più significative della storia del rock anni Settanta, divenendo icona archetipica del proto-punk.
A lei si deve l’avvento di una nuova modalità di fare musica: recitazione free-form e poesia mistica si miscelano nelle sue tracce a pura improvvisazione jazz. Ma l’anima nera del rock è percepibile in ogni suo acuto, nella voce densa e dolente che risuona primitiva e ancestrale, anticipando e gettando le basi per la nascente New Wave anni Ottanta. Il carisma che la contraddistingue e la forza delle parole contenute nelle sue canzoni le hanno fatto guadagnare il titolo di “sacerdotessa maudit”.
Una leggenda a metà strada tra una poetessa del male, incatenata al fantasma di Arthur Rimbaud e una pasionaria politica,pervasa dallo spirito delle grandi rockstar del passato che, prima di lei, erano riuscite a cogliere gli umori di una collettività in pieno mutamento.
Negli anni Settanta, la musica rifletteva limpidamente i fatti e gli avvenimenti della società: icone androgine e asessuate erano in voga negli ambienti rock giovanili, dove la ricerca della libertà sessuale e la sua piena espressione erano il fulcro e il desiderio delle nuove generazioni, che cercavano di infrangere gli schemi obsoleti e bigotti dei conservatori. New York in quegli anni fu il palcoscenico di una rivoluzione culturale che cambiò il modo di fare musica, i costumi nonché le modalità di letteratura e l’approccio alla sessualità.
L’Artwork di Horses (1975) è il manifesto visuale di quest’epoca di metamorfosi sociale, non una semplice fotografia scattata dal migliore amico Robert Mapplethorpe, ma la celebrazione di un sodalizio artistico che avrebbe cambiato le sorti dell’arte e la storia della musica. «Jesus died for somebody’s sins/ but not mine» recitava il verso iniziale di Horses , album intenso e viscerale divenuto pietra miliare del rock e che consacra un nuovo modo di comunicare attraver©so la musica.
Sulla copertina una giovane Patti è immortalata in abiti maschili, come un dandy crepuscolare: la camicia bianca, lo sguardo spiritato e il taglio corto di capelli la fanno sembrare una creatura androgina ed eterea, femmina nella passione ma testosteronica nell’atteggiamento provocatorio. Uno stile di essere e apparire che tutt’ora è il suo marchio di fabbrica indiscusso.
L’unico fenomeno che aveva portato sulla scena musicale l’androgina fu il Glam Rock (David Bowie, Robert Eno, Mick Jagger): l’uomo si apriva ad un’ambiguità leziosa, abbracciando la sua metà femminea e mettendola in scena liberamente. Ma l’androginia Smithiana è differente, poiché in mezzo a strass e trampoli vertiginosi, era difficile vedere una donna esibire con naturalezza la parte ruvida e virile della propria anima.
Le sue performance live, a limite tra sacro e profano, somigliano a riti di catarsi e purificazione: la sua voce echeggia solenne, imbevuta di ferocia e strazio e non si risparmia sul palco, donando tutta se stessa con passione violenta e fervore. Molto vicina ai suoi successori punk nell’aspetto e nell’approccio; mai preoccupata delle buone maniere, né di esibire una voce aggraziata, piuttosto arrabbiata e brutale, ma sempre “religiosamente” esposta sul palco, che forse è all’origine dell’esser divenuta una sacerdotessa del rock e del punk, maledetta e santa:
“È capace di generare più intensità con un solo movimento della mano di quella che la maggior parte degli artisti rock saprebbero produrre nel corso di un intero concerto”-scrisse Charles Shaar Murray su “New Musical Express”.”Le sue performance sono una battaglia cosmica tra demoni e angeli”, aggiunse John Rockwell sul “New York Times”. Un altro critico le paragonò alle doglie e al parto.
Dopo Horses, si susseguono gli altri tre fondamentali LP della sua discografia illuminata: Radio Ethiopia (1976) con dedica all’anima affine del poeta Arthur Rimbaud, poi Easter(1978) che contiene la celeberrima Because the Night, scritta a quattro mani con Bruce Springsteen, hit che la incoronerà icona imperitura del rock ed infine l’album Wave(1979) in cui inserisce una foto di Papa Luciani e il mantra liturgico: “la musica è riconciliazione con Dio”.
Patti Smith rappresentava la parabola del cambiamento, aveva trentatré anni ed una carriera da rockstar in ascesa. L’italia l’accoglie scalpitando e osannandola, memorabili furono i due concerti a Bologna e Firenze del ’79, anno in cui la poetessa versata al rock decide di ritirarsi dalle scene Newyorkesi per coronare il suo sogno d’amore con il compagno musicista Fred Sonic Smith(MC5) e crescere i suoi due figli a Detroit. Nel 1988, dopo dieci lunghissimi anni da eremita, ritorna con l’album Dream of Life e il successo People have the Power che diventa ode ed inno alla libertà e alla democrazia.
Gli Anni Novanta sono nefasti per Patti: muore di AIDS la sua anima gemella e compagno della boheme giovanile Robert Mapplethorpe, il pianista del suo gruppo, il fratello Tod ed anche suo marito Fred. La poetessa punk ed icona patriottica americana, eroina in Europa e musa di artisti del calibro di Bono Vox e Michael Stipe, riappare sulla scena musicale underground con l’album Gone Again(1996). Precocemente vedova ritorna ad urlare la sua passione sregolata per il rock senza confini, ed ancora oggi alla veneranda età di 70 anni, le sue canzoni rapsodiche continuano ad esorcizzare i demoni e le follie del mondo.
di Francesco Maffei



